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Published on Giugno 24th, 2005 | by Redazione MG News

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Perché internazionalizzare ?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo su un tema di così grande attualità. Internazionalizzazione: un fenomeno che può assumere mille volti diversi a seconda delle finalità, degli obiettivi e della tipologia dell’azienda. Molto spesso tale processo viene identificato con la delocalizzazione produttiva, ossia con lo spostamento di alcune o di tutte le fasi della catena del valore all’estero, in stati in cui vi sono condizioni più vantaggiose che in Italia (es. costo del lavoro più basso, legislazioni ambientali meno stringenti o i incentivi statali per attrarre capitali provenienti dall’estero). La stagnazione del mercato nazionale sta spingendo molte aziende a cercare nuovi mercati all’estero, come reazione alla perdita di quote nel mercato interno dove nuovi ed agguerriti competitors stranieri hanno avviato una vera e propria battaglia dei prezzi impossibili a reggersi per chi produce in Italia. Accade spesso che si trasferiscano, all’estero le attività a monte, le attività critiche a più elevato valore aggiunto (es. ricerca e sviluppo, progettazione e design, comunicazione e marketing e vendite) o le fasi produttive più pregiate (es. dove sono richieste risorse altamente specializzate e competenze difficili da replicare). Per chi fosse interessato a sperimentare queste nuove modalità è utile individuare, tra le tante possibili, la più idonea all’internazionalizzazione della propria azienda. Prendiamo in esame le due principali: – la cooperazione o affidamento a terzi: consiste in partnership e accordi non equity (senza investimenti in quote azionarie) con terzi (vedi accordi commerciali e produttivi, licenze, ecc). E’ la strada oggi più percorsa, perché più semplice e che richiede investimenti minori. L’importante è trovare un interlocutore affidabile e con cui si instauri una fiducia reciproca. Questa formula concretamente spinge gli imprenditori italiani a cercare degli agenti (monomandatari o plurimandatari, concessionari di vendita o distributori) locali che conoscono bene il mercato, la lingua delle negoziazioni e il grado di accettazione di un prodotto sullo stesso. Lo svantaggio è che il rapporto tra il produttore e il mercato finale sarà filtrato e non vi sarà crescita di know how per l’azienda. – Investimenti diretti all’estero con partecipazione al capitale di un’impresa locale (es. partecipazioni minoritarie, joint venture, filiali interamente controllate, ecc). Questa formula espone l’azienda a rischi più elevati, richiede competenze e professionalità specializzate, oltre che maggiori investimenti. Qualunque sia la scelta, il consiglio è, prima di prendere qualunque decisione, compiere attente analisi del mercato estero, della stabilità politico-economica e socio-culturale. Persino i costumi diversi dai nostri potrebbero causare l’insuccesso dell’intera operazione. Meglio non sottovalutare, dunque, l’importanza, in alcuni paese, della preghiera del venerdì (es. i popoli musulmani), delle festività religiose e profane come il Carnevale (es. Brasile) o di altre usanze tipiche.

Rosvanna Lattarulo di Spazio Impresa


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