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Published on Novembre 23rd, 2005 | by Redazione MG News

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Gli imprenditori e l’euro, tiepido affetto

In controtendenza rispetto una parte dell’opinione pubblica nazionale, gli imprenditori del Nord Est non ritengono che la moneta unica sia la radice dei mali che affliggono il nostro Paese. Il perseguimento dell’unione monetaria, anzi, ha stimolato una migliore gestione delle casse dello Stato, nonché reso immune il nostro apparato produttivo dalle oscillazioni della lira sul mercato internazionale dei cambi. In questi ultimi mesi, contrassegnati da una congiuntura economica inferiore alle attese e dall’inesorabile aumento del prezzo del petrolio, la moneta unica è assorta agli occhi di parte dell’opinione pubblica quale primo (quando non l’unico) responsabile di una situazione di difficoltà che interessa il Sistema Paese pressoché nella sua totalità.
Il ceto imprenditoriale del Nord Est dissente in modo inequivocabile da questo assunto. La tentazione di abbandonarsi ad una troppo facile eurofobia non trova posto nelle opinioni espresse da oltre 300 titolari d’impresa interpellati per una ricerca ad hoc realizzata dalla Fondazione Nord Est nel giugno scorso. Il 67,7% dei titolari d’impresa di quest’area, infatti, dichiara con forza la propria contrarietà ad un’ipotesi di ritorno alla lira, nella certezza che i problemi che oggi affliggono l’economia del nostro Paese non dipendano dalla moneta unica, quanto piuttosto da altri fattori di carattere strutturale. Poco più di un terzo del campione (31,3%), poi, ritiene che l’euro abbia portato con sé pure qualche problema, ma non tale da rendere plausibile un suo abbandono in favore del ritorno alla valuta nazionale, ormai entrata a far parte a pieno titolo dell’album dei ricordi personali di ogni cittadino europeo. Infine, soltanto l’1% dei rispondenti plaude all’ipotesi di un ritorno alla lira e ritiene che l’euro sia stato essenzialmente un danno alla stabilità del nostro Paese sotto il profilo economico e finanziario.
In sostanza, gli imprenditori sono certi del fatto che l’Italia stia soffrendo più che per l’impossibilità di ricorrere agli antichi meccanismi di svalutazione della moneta, soprattutto perché alle prese con alcune questioni strutturali che ledono a monte la competitività delle sue imprese. I punti critici sono ormai noti a tutti: dalla ridotta dimensione media delle aziende, alla crescente concorrenza internazionale; dalla burocrazia, all’assenza di adeguate reti infrastrutturali, per non parlare della pressione fiscale e del costo della manodopera.

Ma torniamo all’euro e alle profonde trasformazioni che l’adesione all’Unione Monetaria ha portato anche in materia di definizione delle politiche economiche promosse dai singoli Paesi membri. Poco più di due imprenditori su tre (69,7%) ritengono che l’adesione al trattato di Maastricht, una delle tappe fondamentali del percorso di adesione all’euro, abbia assicurato al nostro Paese una migliore gestione della finanza pubblica. I limiti imposti in sede comunitaria(1) , infatti, hanno permesso un contenimento del deficit e del debito pubblico in assoluta controtendenza rispetto al decennio precedente. L’opinione generale è che la necessità di soddisfare i parametri di Maastricht abbia stimolato una gestione meno “allegra” dell’erario, garantendo una sostanziale stabilità, quantomeno nel medio termine, alla nostra economia.
Quanto ai singoli parametri, la maggioranza degli interpellati (53,6%) crede che essi non siano troppo severi o stringenti, ma anzi proprio la loro – almeno per ora – immutabilità sia ulteriore elemento di garanzia e stabilità. Tale dato è degno di nota, dal momento che altri importanti partner europei, quali la Germania e la Francia, ne hanno mancato il conseguimento in più di un’occasione, innescando in tal modo un aspro dibattito circa l’opportunità di una revisione di limiti ritenuti troppo stringenti per economie in trasformazione quali sono quelle del Vecchio Continente.

L’Unione Monetaria, quindi, è ben lungi dall’essere responsabile del rallentamento dell’economia nazionale. Troppo facile fare dell’euro il capro espiatorio in un momento di difficoltà generale; troppo facile pure lasciarsi andare alla nostalgia di un passato che non ritornerà più. L’introduzione della moneta unica è coincisa con una delle congiunture più difficili che si ricordino nel recente passato. C’è piuttosto da chiedersi che cosa sarebbe successo qualora l’Italia, già alle prese con l’esigenza di dare il via ad una profonda trasformazione del proprio apparato produttivo, si fosse pure trovata in balia degli scherzi legati alla fluttuazione della proprietà moneta sui mercati internazionali.

Federico Ferraro – per cortesia de Il Sole 24 Ore

(1) Il trattato istitutivo dell’Unione Europea, noto come trattato di Maastricht dal nome della città olandese in cui venne sottoscritto l’11 dicembre 1991, stabilì che ciascun Paese membro doveva mettere ordine alla propria economia e presentarsi all’appuntamento con la moneta unica nel rispetto di cinque distinti parametri. Tra questi, un deficit di bilancio inferiore al 3% del Pil e un debito pubblico inferiore al 60% del medesimo Prodotto interno lordo.


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