I protagonisti raccontano no image

Published on Marzo 18th, 2005 | by Redazione MG News

0

Fidia, la bio-ingegneria dei tessuti parla italiano

Fidia è una delle poche aziende farmaceutiche rimaste in Italia e grazie a scelte strategiche ed investimenti oculati fatti 10-12 anni fa, è oggi in grado di competere con i[…] Fidia è una delle poche aziende farmaceutiche rimaste in Italia e grazie a scelte strategiche ed investimenti oculati fatti 10-12 anni fa, è oggi in grado di competere con i suoi prodotti nei mercati internazionali. La punta di diamante di Fidia è oggi FAB (acronimo di Fidia Advanced Biopolymers), la divisione specializzata in bio-materiali, che fattura circa 15 milioni di euro, con 80 dipendenti, 50% dei quali addetti alla ricerca. Abbiamo intervistato Lanfranco Callegaro, amministratore delegato di FAB. – Fidia è un’azienda di medie dimensioni che ha scelto di operare in un settore molto specifico e a grande contenuto innovativo. Quali sono i fattori che le consentono di competere con i colossi farmaceutici mondiali? L.C = Il vero fattore competitivo è rappresentato dal nostro patrimonio brevettuale che ci viene, in particolar modo dai risultati della ricerca pluriennale (dal 1992) sui nuovi polimeri per l’ingegneria tissutale. Questi polimeri sono ottenuti attraverso modifiche chimiche dell’acido ialuronico, composto che ha le caratteristiche di essere perfettamente bio-compatibile in quanto già presente nell’organismo umano. Il grande vantaggio di questa tecnologia rispetto a quelle dei nostri competitors è che abbiamo a disposizione un materiale molto malleabile, un vero e proprio “filo organico” dal quale possiamo ottenere sia prodotti per la chirurgia perfettamente bio-compatibili (filo per sutura, garze, ecc) sia varie tipologie di tessuti organici, dalla pelle alle cartilagini ossee, ecc – Su quali tipi di patologie possono intervenire questi tipi di polimeri ? L.C = Questo tipo di tecnologie ci consentono di ricostruire dei tessuti epidermici o cartilaginei gravemente danneggiati da incidenti oppure da patologie gravi come il diabete oppure in relazione a piaghe da decubito. Questo si traduce da un lato in più alti tassi di guarigione dei pazienti e dall’altro in un notevole risparmio di costi rispetto alle metodiche tradizionali; ad esempio nel caso di cura delle degenerazioni ulcerative del diabete attraverso la bio-ingegneria tissutale si risparmiano mediamente 5.000 euro per paziente. L’ anno prossimo abbiamo in progetto di riuscire a produrre anche tessuto osseo, partendo da materiale organico del paziente stesso (cellule mesenchimali) ,sviluppato con la tecnologia dell’acido ialuronico. Questo avrà un grande impatto positivo nel campo della tramautologia ossea. – Sappiamo che l’azienda ha avuto ed ha collaborazioni con centri di ricerca stranieri. Quali sono e perché questa scelta, invece di privilegiare centri italiani ? L.C. = Innanzitutto siamo già da tempo inseriti in progetti di ricerca europei; il nostro ruolo è stato riconosciuto a livello comunitario in quanto siamo punto di riferimento a livello continentale di tutti i progetti che riguardano l’ingegneria tissutale, coordinando circa 40 centri di ricerca in tutta Europa. Abbiamo poi importanti collaborazioni con due università americane molto prestigiose; il MIT di Boston, ed in particolare con il dipartimento coordinato dal Prof. Langer e con la Case Western University di Cleveland (Ohio) ed in particolare con il gruppo di lavoro del Prof. Caplan. La collaborazione si sviluppa su due fronti: da un lato mandiamo i nostri giovani ricercatori in America due anni a completare la loro formazione e a cominciare ad acquisire know-how specifico su progetti di ricerca; il costo per mantenere un ricercatore presso queste due strutture internazionali è di circa 80.000 euro l’anno. L’altro fronte di collaborazione è su progetti di ricerca specifici; in questo caso abbiamo siglato con le Università americane, in particolare la Case Western, un accordo quadro pluriennale con un onere globale per noi di circa due milioni di euro. In Italia non saremmo certo riusciti ad ottenere gli stessi risultati, in parte per un problema di competenze ma, soprattutto, per un problema di organizzazione e burocrazia che rende i rapporti con le Università poco chiari ed i tempi per ottenere dei risultati incerti e di conseguenza non si riesce a rimanere competitivi a livello mondiale.. – Quali vantaggi ha ricavato l’azienda dal partecipare a progetti internazionali di ricerca ? L.C. = In una parola internazionalizzazione, ovvero una grande spinta ad allargare gli orizzonti scientifici e culturali della nostra azienda confrontandoci con le esperienze dei centri europei ed americani con i quali siamo entrati in contatto. Questo è sicuramente un’enorme fattore di crescita qualitativa dell’azienda.Senza contare il fatto che abbiamo acquisito conoscenze e competenze che altrimenti non saremmo riusciti ad introdurre. Essere internazionali insegna ai nostri giovani ad essere competitivi.


About the Author



Torna su ↑
  • Newsletter

    Per essere aggiornato via email sui nuovi contributi pubblicati su MercatoGlobale NEWS e sulle iniziative che essa promuove per i suoi iscritti, ti invitiamo a registrarti nell'apposito form sotto inserendo il tuo indirizzo Email.

     Esprimo il consenso al trattamento dei miei dati come indicato nell'informativa privacy


  • Pubblica i tuoi comunicari stampa

  • Ultimi comunicati