L’espansione internazionale dei distretti made in Italy
Da una recente analisi condotta dalla Commissione Europea emerge che l’Italia è la sesta nazione in classifica internazionale come livello di propensione all’imprenditorialità. Popolo di santi, poeti, navigatori (imprenditori). Questa[…] Da una recente analisi condotta dalla Commissione Europea emerge che l’Italia è la sesta nazione in classifica internazionale come livello di propensione all’imprenditorialità. Popolo di santi, poeti, navigatori (imprenditori). Questa caratteristica del nostro sistema produttivo, unitamente alla creatività intrinseca alla nostra cultura latina, è stata la premessa alla straordinaria diffusione, accanto alla grande industria, di piccolissime imprese e del lavoro imprenditoriale che hanno favorito la nascita di un modello di sviluppo locale integrato e variegato (talvolta anche caotico), oggi conosciuto con il nome di “distretti industriali”. I distretti industriali – riconosciuti giuridicamente dalla legge 317/1991 e dai provvedimenti attuativi che ne sono derivati – sono, secondo l’Istat, quasi 200. Si tratta di aree industriali localizzate in zone caratterizzate da un’alta concentrazione di piccole e medie imprese, generalmente artigiane, specializzate in una determinata produzione e collocate su una stessa e condivisa area territoriale. All’interno del distretto tali imprese stabiliscono intensi rapporti di relazione che contribuiscono a creare il successo competitivo di questo tipo di sistemi produttivi: se da un lato la forte competizione stimola l’innovazione del prodotto, dall’altro la vicinanza e il forte livello di specializzazione consentono una continua trasmissione di conoscenze. Ed oggi più che mai, tutto questo trova applicazione della cooperazione quindi nella competizione, mettendosi nuovamente e continuamente in gioco, anche partecipando attivamente a progetti di marketing territoriale ad esempio. Tutto questo consente di mantenere un alto grado di flessibilità imprenditoriale, ma anche di realizzare economie di scala tipiche della grande impresa attraverso l’integrazione produttiva. Il successo che i prodotti dei distretti riscuotono sui mercati internazionali è però anche frutto di una grande capacità di innovazione e di una costante ricerca del miglioramento del prodotto (favorite dalla concorrenza tra le stesse aziende del distretto) e dall’interazione tra i sistemi distrettuali e le università distribuite sul territorio in tema di ricerca e formazione, che negli ultimi tempi stanno avvicinandosi alle realtà di R&S aziendali. Queste sinergie stanno rendendo competitivi a livello internazionale anche settori comunemente considerati tecnologicamente maturi (si pensi al caso dei settori tessile e calzaturiero-tecnico). Non deve dunque sorprendere che sia soprattutto attraverso un’esperienza di rete relazionale, quale è quella del distretto industriale, che il sistema imprenditoriale italiano debba oggi attuare le proprie strategie di internazionalizzazione, allargando e rafforzando tale rete di relazioni, migliorandone anche l’efficacia. Infatti sono ormai numerosi i casi di distretti industriali italiani che hanno iniziato ad operare direttamente all’estero. L’esempio più conosciuto è quello di Timisoara, il distretto industriale romeno specializzato nel settore tessile e nella lavorazione della pelle, in cui si sono insediate oltre 1.200 imprese italiane, ma non è l’unico. In Tunisia il distretto industriale di “Carthago Fashion City” che intende riprodurre l’intera filiera del tessile e in Russia si stanno sviluppando/nascendo poli elettrodomestici, del legno, calzaturiero tra Mosca e San Pietroburgo. Operazioni che hanno l’ambizione di rappresentare un’ espansione geografica dei nostri distretti “Made in Italy” proiettata sempre di più ad allargare le quote di mercato nei paesi esteri, limitando le operazioni di pura delocalizzazione produttiva che rischiano invece di svuotare di competenze le nostre aree.
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