Analisi e ricerche di mercato

Published on Maggio 30th, 2022 | by Redazione MG News

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In Italia sindacati e imprenditori sono arretrati

Stiamo scoprendo, ma forse era già molto evidente, che le nostre classi imprenditoriali e sindacali – o quantomeno i vertici rappresentativi – non sono esattamente forze di cambiamento ed innovazione. Lo si vede dalle barriere nei confronti di questioni-chiave quali il salario minimo e la settimana corta.

In Italia alcune forze politiche ed in particolar modo Possibile stanno da tempo facendo una battaglia nazionale sul salario minimo. Ne abbiamo scritto anche noi recentemente.
Ma questa battaglia di civiltà che serve per dare un riconoscimento dignitoso a persone sottopagate e sfruttate in modo vergognoso sta incontrando forti resistenze. Sia da parte di alcune forze politiche che da parte della stragrande maggioranza degli imprenditori. Ma la cosa veramente incredibile è che sono contrari anche i sindacati!

Le principali obiezioni che vengono mosse sono le seguenti:

  • Aumento della disoccupazione: FALSO – in tutti i paesi in cui è stato introdotto – tra cui ad esempio la Germania e da poco anche la Francia – non solo la disoccupazione non è aumentata ma è addirittura diminuita
  • Riduzione dello spazio alla contrattazione collettiva: FALSO – anche i sindacati europei più scettici inizialmente alla misura hanno dovuto poi ammettere che il salario minimo rappresenta un punto di partenza importante per la contrattazione. Ovvero sotto quella soglia non è possibile nemmeno intavolare una trattativa!
  • Aumento del costo del lavoro e riduzione competitività imprese: FALSO – se ci riferiamo alle aziende corrette, che applicano i CCNL, che trattano i lavoratori con dignità, queste non vedranno nessun aumento del costo del lavoro. Se ci invece ci riferiamo ad aziende che lavorano in nero, che non applicano i CCNL, che (sotto) pagano i dipendenti magari per meno ore di quelle che in realtà fanno, allora possiamo dire che questa è l’occasione per emergere dall’illegalità. O se non ci riescono forse è meglio che spariscano dal mercato definitivamente.

Invece sono stati accertati – nei paesi in cui il salario minimo è presente – diversi benefici:

  • Emersione lavoro irregolare: finalmente posizioni non dichiarate o contrattualizzate in maniera non adeguata alla mansione sono venute alla luce
  • Reddito dignitoso e quindi aumento consumi: i lavoratori che non potevano permettersi nemmeno di pagare un affitto e di mangiare in modo regolare, ora lo possono fare. Con 1.100-1.200 euro netti al mese si può vivere minimamente in modo decoroso. Dell’aumento dei consumi di questi lavoratori beneficia ovviamente l’economia nel suo complesso
  • Arresto dell’emorragia di lavoratori verso l’estero: molti lavoratori, in specie stranieri ma non solo, hanno abbandonato l’Italia in questi ultimi anni o perchè non riuscivano più a trovare lavoro o perché le condizioni proposte non erano accettabili. Ad esempio un lavoratore stagionale agricolo che in Italia trova lavoro in nero soprattutto al Sud per 2-3 euro all’ora, all’estero in Francia, Germania, Spagna lo trova regolare a 7-8 euro all’ora.

Quindi su questo fronte dell’opposizione al salario minimo sembrano stare dalla stessa parte – incredibilmente – sia imprenditori che sindacati. (*)

Ma c’è un altro fronte molto importante dove c’è una fiera opposizione da parte degli imprenditori e, diciamo, una tiepida accoglienza da parte dei sindacati che dovrebbero invece farne un cavallo di battaglia. Sto parlando della settimana corta lavorativa di 4 giorni. Sono ormai diversi i paesi europei dove se ne sta parlando in modo concreto o si sta sperimentando la misura. Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi scandinavi hanno già mosso i primi passi concreti. Mentre in Italia a parte qualche sporadico tentativo, c’ è un fronte del NO che puzza di vecchiume ideologico o culturale.

In modo particolare c’è a nostro avviso una concezione del rapporto di lavoro vecchia e stantia, direi tailorista. Secondo questa concezione la produttività del lavoro è legata al tempo trascorso in ufficio e la timbratura con cartellino o badge è il modo per controllare che il lavoratore non “faccia il furbo”.

In realtà è stato ampiamente dimostrato, soprattutto nel settore dei servizi e commerciale che ormai occupano la maggioranza della manodopera, che vi sono grandissime sacche di inefficienza anche nel settore privato. E questo succede perchè non si lavora per obiettivi nella stragrande maggioranza dei casi.
Se lavoro nella logistica ad esempio e mi viene assegnato l’obiettivo di ridurre le scorte di magazzino del 10% nel corso dell’anno, dovrebbe essere indifferente il modo in cui io raggiungo questo obiettivo. Se io riesco a raggiungere il mio obiettivo con 3 o 4 giorni di lavoro alla settimana magari organizzati in modo flessibile, la mia retribuzione non dovrebbe risentirne, anzi.
Con la riduzione dell’orario di lavoro, oltre ad avere una miglior conciliazione dei tempi vita privata-lavoro e a ridurre l’inquinamento perchè si riducono gli spostamenti, si possono magari creare degli spazi per nuova occupazione.

Si tratta dunque di una battaglia culturale che richiede visione e propensione al cambiamento. Salvo rarissime eccezioni – non si vedono nè sindacati, nè forze politiche pronti a farlo. Forse potrebbe andare meglio con qualche imprenditore illuminato….stiamo a vedere.

(*) Recenti dati dimostrano che la situazione dei salari in Italia è disastrosa. E’ l’unico paese in Europa che negli ultimi 30 anni ha visto una variazione negativa degli stipendi (-2,90%). Tutti gli altri hanno visto degli aumenti. Si va dal +276% della Lituania al +6,20% della Spagna. Consiglio di leggere anche questo articolo di Ignazio Corrao (eurodeputato) che mostra anche chiaramente come l’Italia sia in realtà uno dei pochissimi paesi in Europa che non prevede il salario minimo.

 

 

 

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