Published on Novembre 20th, 2007 | by Redazione MG News
0Verso il riconoscimento dei diritti e dei doveri delle Lobby
Il lobbying è un’attività perfettamente legittima all’interno di un contesto democratico: la rappresentanza politica di interessi particolari, prevalentemente corporativi, curata da gruppi di persone più o meno specializzati. Si va verso una forma di riconoscimento giuridico di questa attività.
Parli di “lobbying” e pensi ad una qualche attività illecita, ad oscuri maneggi nelle stanze del potere e a scambi di favori tra furbetti in giacca e cravatta. Eppure, a dispetto della sua cattiva fama legata a svariati episodi del passato (un esempio per tutti: Mani Pulite), il lobbying è un’attività perfettamente legittima all’interno di un contesto democratico: la rappresentanza politica di interessi particolari, prevalentemente corporativi, curata da gruppi di persone più o meno specializzati — dal professionista di settore (es. ex dirigente d’azienda), ai pool di consulenti e i grandi network delle Pubbliche Relazioni.
In Italia la professione del lobbysta è in rapida evoluzione, le Università di Roma e di Camerino offrono i primi master e, sull’onda di quanto avviene ormai da tempo negli USA e in Europa, la domanda di professionisti specializzati in public affairs è in costante crescita.
Per citare qualche cifra, il Congresso americano ha accreditato circa 35.000 lobbysti mentre il Parlamento Europeo circa 4600; in merito al giro d’affari di questo settore, Franco Spicciariello, government affairs manager di Microsoft Italia, presenta i seguenti dati: "Se negli Stati Uniti la spesa totale in attività di lobbying è passata da 1,44 miliardi di dollari nel 1998 a 2,2 miliardi nel 2005, quella europea si aggira oggi tra 750 milioni e 1 miliardo di euro l’anno. In Italia mancano dati ufficiali, ma credo che per il lobbying in senso stretto possiamo stimare un valore intorno al 10% di quello europeo". (N.B. citato in “Io, lobbysta senza registro” di Michele Arnese, Milano Finanza 8/9/2007).
Quanto tuttavia manca in Italia è il riconoscimento giuridico di tale professione. Trattando una materia piuttosto delicata, è evidente che il grado di trasparenza con cui tale attività viene svolta segna il discrimine tra diritto di lobbying e reato di corruzione; in tal senso, è auspicabile che anche da noi si giunga presto ad una regolamentazione legislativa della professione del lobbysta, così come del resto è avvenuto già da molto tempo negli Stati Uniti.
A Washington, anzi, in risposta agli scandali legati al lobbysta Jack Abramoff, è stata recentemente approvata una nuova legge, l’Honest Leadership Act, che introduce nuove regole più restrittive per i lobbysti. Si impone loro, ad esempio, di inviare i report sulle proprie attività istituzionali (contenenti nomi di clienti, istituzioni coinvolte e onorari corrisposti) ogni tre mesi anziché sei e di renderli inoltre pubblici tramite internet. Una serie di disposizioni sono rivolte anche ai parlamentari, i destinatari dell’attività di lobbying, al fine di garantire una maggiore trasparenza in tema di contributi elettorali da parte di enti privati. Ulteriori limitazioni sono poste anche al passaggio di ex membri del governo tra le file dei lobbysti, per continuare ad influenzare quelli che fino a poco tempo prima erano loro colleghi: ad esempio, i senatori non potranno entrare a far parte di società di lobbying prima che siano passati due anni dal termine del loro mandato governativo.
In Italia si sta attualmente lavorando attorno alla proposta di legge del ministro Giulio Santagata, che prevede il riconoscimento dei diritti e dei doveri delle lobby. In particolare, si propone l’istituzione di un apposito registro pubblico al quale i gruppi di pressione dovranno iscriversi per poter entrare in contatto con i membri del governo e del Parlamento.