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Published on Novembre 18th, 2004 | by Redazione MG News

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Sviluppo locale: i distretti stanno cambiando, ma come?

Se ne parla molto di questi tempi delle crisi del Nordest degli ultimi anni: in molti discorsi si sente l’eco, più o meno diretta, delle paure che alcuni hanno della[…] Se ne parla molto di questi tempi delle crisi del Nordest degli ultimi anni: in molti discorsi si sente l’eco, più o meno diretta, delle paure che alcuni hanno della Cina, delle Tigri asiatiche vicine e dell’Est Europa. Ma si tratta di un’eco lontana, spesso messa a giustificazione di un senso di scoramento che viene dalla progressiva perdita di identità e di fiducia nelle nostre capacità di sviluppo. Qualcosa che é strettamente legata ad alcuni risultati negativi (quote di mercato, caduta dei margini, emergere di nuovi temibili concorrenti), ma che spesso deriva da una incomprensione del meccanismo che ha prodotto sviluppo finora.
Invece, dobbiamo cercare di capire bene dove dovremo andare e/o cosa i sistemi produttivi locali stanno già facendo.
L’evoluzione industriale dei distretti parte dallo sviluppo per accumulazione fordista, che non significa solo produrre grosse quantità e cercare poi di venderne quante più possibili, ma anche integrazione verticale dei cicli produttivi, ossia un circuito proprietario di produzione e uso della conoscenza. L’unico modo per avere a disposizione conoscenze innovative, da usare nella concorrenza, é – nel fordismo – quello di produrle da soli, facendo enormi investimenti e irrigidendosi per molti anni nelle linee di ricerca e sviluppo prescelte.
Invece lo sviluppo postfordista avviene per propagazione delle conoscenze, ossia utilizzando le conoscenze prodotte da altri e ottenute o comprandole (licenze, macchine, prodotti tecnologici) o copiandole, per imitazione, qualche volta affiancata da forme innovative di applicazione a segmenti di uso trascurati dagli altri concorrenti. L’impresa fordista deve essere grande perchè é l’unico modo di accedere ad elevati moltiplicatori nel riuso della conoscenza. L’impresa postfordista, invece, ottiene elevati moltiplicatori attraverso le reti di divisione del lavoro (distretti, catene di subfornitura) o collocandosi in nicchie molto specializzate, dove anche un piccolo produttore può avere un elevato peso.
Oggi, il campo della propagazione si allarga, e dunque anche i distretti e le nicchie tradizionali devono cambiare. In due direzioni:
– Trasformando le reti locali (relazionali ed industriali) in reti trans-locali, per cui il distretto deve essere parte attiva nello sviluppo di reti pluri-territoriali;
– Ricercando le economie di scala dei servizi e delle competenze rare in una geo-community metropolitana o regionale ben più ampia della scala comunale o provinciale dove finora sono stati confinati i nostri sistemi produttivi locali. Bisogna specializzare l’offerta di conoscenze terziarie e renderla accessibile ad una domanda situata in bacini locali ampi, grandi almeno un milione di abitanti (se si vuole competere con grandi aree metropolitane che oggi concentrano l’intelligenza terziaria rilevante). Per far questo servono infrastrutture, servizi rari (qualità della rete sociale…) e competenze terziarie che possono essere impiegate da più settori e da più luoghi contemporaneamente e che devono essere accessibili su un territorio necessariamente più esteso di quello locale.
Ci troviamo di fronte però ad alcune difficoltà oggettive. Le battaglie per i confini amministrativi attuali sembrano leggermente innaturali: bisogna abituarsi al cambiamento o é possibile avanzare un patto istituzionale (ad esempio) tra comuni, province e regione per lo sviluppo condiviso e concertato di un’area vasta con innovazioni anche sulla comunicazione.
Altro punto su cui focalizzare l’attenzione é la manifattura distrettuale delle PMI, si deve lavorare per:
– una nuova politica industriale che promuova una re-invenzione del loro modello di business;
– la valorizzazione di reti pluri-territoriali nella specializzazione del loro saper fare;
– la crescita del terziario commerciale e di relazione col cliente finale;
– il potenziamento dell’attrazione del distretto o la creazione nel distretto di neo-imprese specializzate in queste funzioni;
– una più efficace interazione con i centri di creazione estetica e con le catene commerciali globali.
Quindi, tre visioni e un indirizzo su cui puntare:
1. il distretto come cluster;
2. il distretto come sistema;
3. il distretto come rete cognitiva.

* L’autore: Enzo Rullani, professore ordinario presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia – Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale di Ca’ Bembo. Insegnamenti: Strategie di impresa I e II, Economia della conoscenza I e II. Autore di Economia della conoscenza: creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma, 2004; e di La fabbrica dell’immateriale: produrre valore con la conoscenza, Carocci, Roma, 2004.


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