Tecnologie per l'impresa no image

Published on Settembre 27th, 2006 | by Redazione MG News

0

Innovazione: guardare avanti o rincorrere?

Le riflessioni del prof. Muffatto sul gap italiano (ed europeo) nei confronti dei paesi emergenti per qual che riguarda investimenti in nuove tecnologie e formazione tecnologica. Ottobre 1991. Mi trovo ad un meeting di un gruppo di lavoro EFQM sui sistemi per la valutazione dell’eccellenza nelle imprese. Sono presenti manager di alcune grandi imprese europee. La riunione è ospitata negli headquarters di Imperial Chemical Industries (ICI) nella sede storica, al numero 9 di Millbank, Londra. Il pranzo è offerto in una saletta privata all’interno dello stesso edificio. La discussione cade su scenari ed evoluzioni future del business. L’ospite, un top manager ICI, pone un interrogativo. Quali saranno le nazioni più competitive tra 20 anni? Le risposte di tutti i presenti sono abbastanza scontate, USA, Giappone etc. Ma il manager stupisce un po’ tutti tirando fuori il nome della Cina. Come la Cina? A pochi mesi dai fatti di Tienanmen con un regime ancora molto forte a pochi verrebbe in mente di collocarla tra le nazioni industrialmente evolute e competitive. Ma negli anni precedenti era iniziata la politica cinese di apertura verso il capitalismo che dà origine a una trasformazione senza precedenti per rapidità e risultati conseguiti.
Settembre 2006. Missione italiana in Cina guidata dal premier Romano Prodi accompagnato da un numero cospicuo di imprenditori in cerca di opportunità nel grande paese. Prodi così si esprime: “Arriviamo in ritardo, dobbiamo correre”. La dichiarazione fotografa una situazione di oggettiva difficoltà. Le multinazionali, in particolare quelle in campo energetico, chimico etc dove sono richiesti investimenti strategici in varie aree del mondo, sono preparate in termini di scenari e strategie a lungo termine. Ma cosa dire di altre imprese soprattutto se di piccole dimensioni e poco abituate a investire tempo e attenzioni del management in riflessioni strategiche? Di scenari in questa accezione si parla poco, si ritiene che siano prevalentemente esercizi con scarso riferimento alla realtà e quindi sostanzialmente poco utili se non inutili.
Generalmente il guardare troppo avanti non sembra avere una buona accoglienza mentre “abbiamo altri problemi da risolvere”. In questo modo però i cambiamenti avvengono, e sempre più rapidamente, senza che poi ci sia il tempo di metabolizzarli a dovere. Poi non rimane che correre, se va bene.

Che cosa sono gli scenari? Il termine scenario viene molto spesso usato in un’accezione fortemente riduttiva. Il termine è usato quasi come sinonimo di contesto, generalmente “attuale”. In realtà gli scenari devono fare riferimento al futuro e indicare plausibili situazioni future. Gli scenari sono una rappresentazione plausibile di ciò che si può verificare in un futuro non prossimo ma abbastanza vicino.
Gli scenari sono utili soprattutto nella misura in cui mettono in discussione modi di vedere e pensare consolidati che sono estrapolazione di situazioni passate. Se il futuro riserva delle sorprese quelle devono essere in qualche misura “previste” negli scenari.
Perché sia utile lo scenario non deve essere un documento elaborato da un gruppo di esperti esterno e acquisito dal management. Questa situazione produrrebbe quasi certamente un rigetto delle ipotesi contenute nello scenario come troppo lontane, non plausibili. Uno scenario deve mettere un po’ in discussione la cultura aziendale specie se consolidata da troppo tempo intorno a modelli vincenti che segnano il passo.
In sintesi uno scenario è uno strumento di apprendimento. Apprendimento per le politiche e le strategie. Un imparare dal “futuro” invece che solo ed esclusivamente dal passato. Lo scenario è uno strumento utile anche per un sistema fatto di un insieme eterogeneo di attori. Un sistema eterogeneo di attori è un sistema complesso nel senso che le evoluzioni di questo sistema non sono facilmente prevedibili a priori. Non si può cambiare il sistema dal di fuori, occorre che siano gli stessi attori a far evolvere il sistema. E allora come cambiarlo?
Se si vuole cambiare un sistema complesso si deve creare una rappresentazione del futuro del sistema e far sì che gli agenti nel sistema comunichino tra di loro con riferimento a quella rappresentazione. Facile? Assolutamente no soprattutto se le rappresentazioni dei futuri possibili sono troppe e conflittuali. Inoltre una simile rappresentazione è impegnativa per gli stessi attori.

Nel momento in cui si parla insistentemente della necessità di fare sistema tra i vari attori una simile “conversazione” sui possibili futuri diventa molto rilevante. Lo scenario può essere considerato uno strumento di dialogo e conversazione tra gli attori di un sistema per identificare i trend, alcuni sviluppi possibili e su di essi costruire una vision comune. Lo scenario è una conversazione non genericamente sui futuri possibili ma anche su un futuro voluto.

Torniamo per un attimo alla Cina. L’Economist ha pubblicato la scorsa settimana (16 settembre) un rapporto sull’economia mondiale con un interessante titolo di copertina Surprise! The power of the emerging world. Il rapporto riposta alcuni elementi di scenario che in parte sono ormai trend difficilmente modificabili. Nel 2007 la Cina avrà una quota del 10% del commercio mondiale rispetto al 4% del 2000 e insieme a Brasile Russia e India (i paesi identificati dalle loro iniziali con l’acronimo BRIC) avranno i due quinti del prodotto interno lordo di tutte le economie emergenti. Secondo la Goldman Sachs nel 2040 la Cina sarà la più grande economia al mondo e le 5 principali economie emergenti (è ancora il caso di dire così?), ovvero i BRICs più il Messico produrranno insieme più dei paesi del G7. Ma ci sono elementi che possono preoccupare anche di più. L’entrata di Cina India e Russia nel capitalismo di mercato ha raddoppiato il numero di lavoratori da 1,5 a 3 miliardi. Questo ha prodotto una forte spinta alla riduzione del costo del lavoro anche nei paesi evoluti e un aumento della remunerazione del capitale.

La distinzione tradizionale tra paesi emergenti e paesi evoluti sta perdendo di valore e con essa alcuni assunti che la accompagnano. In particolare l’assunto che nei paesi emergenti ci sono solo lavoratori a bassa qualificazione. Questi paesi hanno investito e stanno fortemente investendo in educazione e formazione e possono affrontare produzioni più sofisticate. Nelle università cinesi e indiane si laureano ogni anno 1,2 milioni di ingegneri e scienziati. Numero uguale a quello di USA, Europa e Giappone. E tre volte il numero di 10 anni fa. Mentre nel 1970 gli USA attiravano il 30% degli studenti ora questa percentuale si è ridotta al 12%.
Un assunto che non vale più è che i paesi poveri producano prodotti poveri e i paesi ricchi prodotti ad alta tecnologia. Nel 2004 la Cina ha superato gli USA nell’export di prodotti nell’information technology e anche se i prodotti sono solo assemblati le skills relative a progettazione e produzione di questi prodotti sono destinate a crescere rapidamente.
Si aprono quindi elementi di scenario abbastanza preoccupanti. Confrontiamoli poi con un altro scenario, abbastanza provocatorio ma non privo di valenze, quello a cui fa riferimento l’Economist nell’ultima survey sull’Italia lo scorso novembre ovvero un paese che come Venezia dopo la stagione della ricchezza e della potenza è destinato a diventare “poco più che un’attrazione turistica”. Si propone un gap difficilmente immaginabile qualche anno fa. Ed emergono domande dalle difficili risposte: possiamo solo sperare di sfruttare la creatività, il “pensato e progettato in Italia”? abbiamo perso definitivamente il treno della ricerca e dell’alta tecnologia?

Gli scenari sono la premessa per una vision condivisa. La vision deve dirci se è sufficiente il rilancio di settori “tradizionali” o abbiamo bisogno di sviluppare nuovi settori ad alta tecnologia, stimolando la nascita di nuove imprese innovative. La vision può e deve produrre elementi concreti di progettualità indicando gli obiettivi operativi da perseguire nell’immediato e quali gli ostacoli da rimuovere, le strategie per l’innovazione, gli strumenti di governance del cambiamento, gli strumenti della collaborazione tra gli attori (ricerca, impresa, finanza etc), la formazione del capitale umano. Se questi cambiamenti non sono legati ad una visione ed anche ad elementi di scenario e dei gap che si vengono a creare non saranno né percepiti con la necessaria urgenza né impostati correttamente.

MORENO MUFFATTO – email:moreno.muffatto@gmail.com


About the Author



Torna su ↑