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Published on Settembre 26th, 2005 | by Redazione MG News

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Il marketing territoriale in aiuto dei piccoli comuni e delle PMI ?

Se e come il Marketing territoriale può aiutare i piccoli centri, i consorzi, le PMI a differenziare la propria offerta e ad imporsi sui mercati internazionali ? Abbiamo ascoltato su questi temi Enzo Rullani, prof di Economia Industriale di Ca’ Foscari – VENEZIA Su come il marketing territoriale può diventare una leva strategica per comuni, PMI e piccole realtà locali in generale, abbiamo sentito Enzo Rullani docente dell’Università di Venezia, Ca’ Foscari.

D) Qual’ è il significato oggi di “posizionamento competitivo” riferito a un territorio, una città, ecc ?
R) Nell’economia globale, bisogna abituarsi ad una visione della produzione (di valore economico, non di beni) per cui il valore non è prodotto da un solo territorio, ma da una filiera che “somma” attività e fasi svolte in piu’ di un territorio, e connesse tra loro o da rapporti di mercato (come accadeva nel “vecchio” commercio internazionale), o dall’appartenenza ad una stessa impresa (una multinazionale, ad esempio), o da forme di divisione del lavoro in rete (rapporti stabili, e affidabili, tra clienti-fornitori reciprocamente autonomi ma di fatto collegati dall’interesse a lavorare insieme). Posizionamento competitivo di un territorio, in questo contesto di produzione trans-territoriale del valore, significa, allora, due cose: a) che la filiera (o le filiere) che insistono su quel territorio sono capaci di produrre un valore maggiore di altre (concorrenti); b) che la posizione contrattuale di quel territorio entro la sua filiera lo pone in condizioni favorevoli nel “braccio di ferro” per la distribuzione del valore all’interno della filiera (o delle filiere) di appartenenza, rispetto ad altri territori più “deboli”. In definitiva si può aumentare la propria competitività o migliorando la gamma delle filiere insediate sul territorio (ad esempio favorendo la localizzazione di settori più innovativi) o puntando sullo sviluppo di competenze e fasi difficilmente sostituibili nell’ambito delle filiere già esistenti. In questo momento la perdita di competitività italiana deriva sia dalla massiccia presenza, nel nostro territorio, di settori scarsamente dinamici (tradizionali o maturi), sia – soprattutto – dal fatto che la nostra posizione è sempre più sostituibile da produttori low cost, che non trovano barriere cognitive o commerciali importanti a fare le cose che abbiamo imparato a fare noi. Per uscirne, bisogna sia cambiare il mix dei settori, sia – soprattutto – puntare su investimenti in conoscenze originali ed esclusive (non solo tecnologiche, ma anche nella commercializzazione, nella rete distributiva, nei marchi, nel design, nella progettazione, nella logistica, nell’interazione e garanzia fornita al cliente finale ecc.) che, nell’ambito dei vecchi settori, ci consentano di essere meno sostituibili dai concorrenti low cost. Attenzione: è facile a dirsi, difficile da farsi. L’ostacolo maggiore sta nel fatto che, per fare investimenti immateriali importanti, bisogna a) finanziarli; b) assumerne il rischio relativo. Il nostro è invece un sistema che è cresciuto e si è selezionato per produrre valore col minimo investimento possibile e con un rischio limitato, privilegiando gli investimenti che possono avere un rendimento nel breve termine. Per organizzarsi diversamente, occorre cambiare l’orizzonte strategico delle imprese, il loro assetto societario-finanziario, il loro modo di fare business. Tutte cose possibili, ma che richiedono tempo. Nel frattempo, chi farà gli investimenti necessari per avviare il riposizionamento del sistema? Attori dell’innovazione cercasi.

D) Se ed in che misura il marketing territoriale può essere di aiuto per valorizzare piccoli-medi centri o territori periferici o poco conosciuti ?
R) Il territorio è un elemento importante (potenzialmente importante) di produzioni customizzati che sono sempre meno standard e in cui conta sempre di più il significato associabile all’uso del prodotto materiale. La cosiddetta “tracciabilità” va intesa non tanto come rintracciabilità fisica del percorso di origine di un prodotto, quanto come interpretabilità (semantica) dei significati che i produttori del bene o servizio hanno assegnato alla loro attività e che alcuni consumatori (il gruppo di consumatori di riferimento) sono in grado di riconoscere ed apprezzare. Tuttavia la potenziale importanza del contesto territoriale non significa automaticamente che il territorio contribuisca in maniera rilevante alla produzione di valore. E’ probabile che la maggior parte di questi potenziali significati vada persa, per insipienza dell’offerta, inadeguatezza dei canali di comunicazione e organizzazione della filiera, banalizzazione del consumo a cui ci si rivolge, per vendere. Dunque esiste un margine per fare marketing territoriale nel senso di recuperare significati che già esistono ma sono dispersi a causa dell’entropia delle filiere globali. Tuttavia, anche qui bisogna fare attenzione: non si può vendere, nemmeno con un buon marketing, quello che non si è prodotto. Prima di vendere un territorio a chi non ne conosce i pregi, bisogna sviluppare questi pregi e renderli rilevanti per le produzioni che in esso vengono svolte. Il marketing territoriale deve dunque spesso identificare qualità, significati e accessi che il territorio non produce, pur potendo potenzialmente farlo, e creare le condizioni adatte per produrle (prima bisogna cambiare il territorio e poi “venderlo”). I piccoli centri possono avere una chance in questo processo perché hanno spesso qualità già pregevoli in sé che non sono tuttavia conosciute all’esterno (e attendono solo di essere codificate e vendute). Ma spesso i piccoli territori hanno bisogno di trovare la specializzazione giusta per generare qualità vendibili che non sono quelle ereditate (senza costo, e senza invenzione) dalla tradizione: e allora il marketing territoriale diventa strategico, dovendo prendere ad oggetto non le qualità da vendere, ma quelle da generare in vista di un migliore posizionamento competitivo.

D) Quali tipi di strumenti, azioni concrete ed investimenti dovrebbero adottare queste piccole realtà soprattutto in un ottica di promozione internazionale del territorio (a fini turistici ma anche per attrarre competenze e capitali) ?
R) Nei grandi e anarchici flussi dell’economia globale non conta saper fare bene un po’ di tutto (ci sarà sempre chi sa fare ciascuna cosa meglio di te): bisogna invece creare la propria differenza, renderla riconoscibile all’esterno, e valorizzarla nelle filiere. La differenza non si crea dal niente, ma nasce dall’autogenerazione, anno per anno, della propria identità. L’identità, nel mondo moderno, non è semplicemente ereditata dalla tradizione e data, ma deve essere autogenerata scegliendo di stressare certe qualità e di abbandonarne altre. La difficoltà non sta tanto nel trovare qualità riconoscibili e vendibili, quanto nel fare evolvere il sistema territoriale in modo che abbandoni certe caratteristiche e ne assuma altre, scegliendo all’interno delle culture e delle tradizioni che lo hanno prodotto in passato. Se la politica riesce a fare questa scelta (che non è quasi mai demandabile al mercato o ai “poteri forti”), allora bisogna rendere coerente il processo di innovazione, comunicazione e valorizzazione economica intorno a questo nucleo identitario. Il turismo può, ad esempio, mettere in circolazione immagini e significati coerenti. La produzione artistica e letteraria lo stesso. I prodotti “tipici” e i comportamenti caratteristici possono entrare in sintonia. E così via.

D) Per quanto riguarda le aziende (o gruppi e consorzi, soprattutto quelle più legate al territorio (prodotti eno-gastronomici, artigianato artistico, ecc) si aprono delle importanti prospettive in chiave di differenziazione e valorizzazione del prodotto, agganciando lo stesso al territorio, alla sua storia, alle sue tradizioni, ecc. Ci può dire quali possono essere i vantaggi di questo tipo di approccio per una PMI locale ?
R) Il rapporto col territorio passa per elementi distintivi che hanno un significato simbolico e non solo di prestazione fisica: non conta tanto il sole e il mare, quando la cultura, l’ambiente, la vitalità del luogo dove stanno sole e mare. La gente vuole entrare in contatto con un territorio facendo esperienze: dirette, se si tratta dei turisti; indirette (attraverso i beni, i servizi ed i significati associati) se si tratta di consumatori e utilizzatori industriali che usano il territorio per le loro attività (come fase di una filiera, o come fornitore di una conoscenza).
Prodotti eno-gastronomici, artigianato artistico, turismo, ristorazione sono settori chiave delle esperienze che vengono offerte ad utilizzatori locali ed internazionali del territorio. Ma non solo le sole: conta la produzione estetica di modelli e gusti, la generazione di mode e di simboli, la presenza sui mass media, l’immagine di affidabilità e di trasparenza trasmessa, la capacità di comunicare significati complessi che differenziano rispetto ad altri territori, specializzati in significati immediati e banali. L’Italia ha oggi l’immagine di un paese pasticcione e un po’ furbastro, dove, non a caso, gli stranieri non amano avventurarsi per paura di qualche sorpresa (vedi la stupefacente scarsità di investimenti esteri in Italia). L’enorme potenziale di interscambio e di apprendimento reciproco rischia di essere perso per questa mancanza di disponibilità dialogica rispetto a chi, venendo da fuori, ha meno padronanza delle leggi non scritte che rendono praticabile il contesto. Una piccola impresa locale non è in grado da sola di cambiare il contesto. Ma può farlo associandosi con altre imprese (le medie) o nelle associazioni e istituzioni locali. Inoltre può rendersi coerenti e vendere alcuni significati identitari che il territorio ha prodotto spontaneamente, nel caso che essi siano associati ad un valore per il cliente utilizzatore delle attività o fasi della filiera. Tuttavia, molto spesso si scambia questo valore potenziale per il valore “assoluto” della tradizione (da conservare o recuperare): non e’ così. La tradizione può essere una fonte di differenziazione, ma il suo valore può essere controproducente se non si ibrida col punto di vista e con i bisogni attuali dei potenziali clienti e partners in filiere che sono sempre meno tradizionali e sempre più globali. Dunque, anche per le piccole imprese, la tradizione va innovata e non solo seguita.


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