Published on Aprile 20th, 2010 | by Redazione MG News
0L’informatica dopo la crisi
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono svolgere un ruolo centrale nell’uscita dalla crisi. Il settore attraversa però un momento particolarmente negativo nel nostro paese. E si invoca maggiore spesa pubblica. Che è utile solo se ha come obiettivo primario la crescita complessiva del mercato, qualitativa oltre che quantitativa. In particolare, l’intervento pubblico può accelerare la maturazione complessiva del mondo dell’offerta, a patto che utilizzi misure veloci, certe, affidabili nei tempi e nell’entità.
Adesso che la crisi sembra uscire dalla fase più critica, il dibattito sull’exit strategy si fa più stringente e anche il tema dell’Ict, Information and Communication Technology, ritrova un ruolo centrale.
UNA CRISI QUALITATIVA
Indubbiamente, all’interno della crisi generale del sistema economico, l’Ict vive un momento alquanto negativo con un calo che ha colpito il mondo delle telecomunicazioni (-2,5 per cento nel primo semestre 2009, dati Aitech-Assinform) e in modo ancora più sentito quello dell’informatica (addirittura -9 per cento, sempre nello stesso periodo). Peraltro, la crisi del mercato italiano dell’It (informatica) non è solo quantitativa, con il calo della domanda, scarso utilizzo delle infrastrutture e prezzi unitari sempre più bassi, ma anche e soprattutto qualitativa: sistemi informatici nelle imprese e negli enti pubblici troppo spesso assimilati a beni di largo consumo, valutati solo in base alle loro caratteristiche di costo; servizi pubblici e privati spesso incompleti, frammentati e poco efficienti; scarsa capacità di progettazione e di innovazione nelle imprese del settore; ricerca nelle università e nei centri di ricerca privati e pubblici che è troppo spesso marginale e senza un peso internazionale.
Per contrastare questa crisi, spesso si invoca maggiore spesa pubblica. A condizioni di contesto invariate, una crescita della spesa rischia di essere solo una scorciatoia per avere nuove risorse, eludere i problemi di scarsa competitività delle imprese private, sostenere in modo artificioso un mercato che da solo annasperebbe in preda ad asfissia di idee e di capacità propositiva. In realtà, l’intervento pubblico è importante e utile, ma solo se si pone come obiettivo primario la crescita complessiva del mercato, cioè sia della domanda che dell’offerta, da un punto di vista qualitativo e non solo quantitativo.
LA DOMANDA
Per quanto riguarda la domanda di prodotti e servizi Ict, è vitale che le pubbliche amministrazioni sviluppino processi di acquisizione e gestione (procurement) più maturi e moderni. In questi anni, la domanda pubblica si è appiattita su una generica richiesta di riduzione dei costi che ha depresso il mercato, abbassando la qualità complessiva dei servizi e dei prodotti acquisiti. Ciò ha comportato una compressione insostenibile delle tariffe e di conseguenza delle retribuzioni dei nostri giovani che in numero sempre maggiore o snobbano gli studi informatici oppure emigrano andando a lavorare all’estero. È la beffa di un paese che investe risorse pubbliche per formare giovani che vanno ad arricchire il capitale umano di aziende straniere.
Ma soprattutto, la domanda pubblica ha mancato di progettualità e di sistematicità. Si è acquistato Ict in modo scoordinato e frammentario, moltiplicando in alcuni casi gli investimenti e senza una visione strategica convincente. Per esempio, è stato sviluppato un numero molto elevato di portali che dovrebbero offrire servizi evoluti ai cittadini. Molti di questi, in realtà, si limitano a fornire informazioni di carattere generale, restando scarsamente integrati tra loro e con i sistemi informativi veri e propri delle amministrazioni. Ma l’aspetto più critico è l’incapacità di riconoscere che su Internet non ha senso replicare la struttura degli uffici tradizionali distribuiti sul territorio (si pensi per esempio agli uffici del lavoro). Su Internet, i servizi possono essere messi a fattor comune e offerti attraverso un unico sistema/sito. Purtroppo, la ricerca dell’autonomia e della responsabilizzazione delle singole amministrazioni, in mancanza di una capacità progettuale delle stesse e di un governo unitario dei processi di acquisizione, si è tradotta in una spesa frastagliata e inconcludente, non di rado sostenuta dagli interessi delle imprese di informatica locali, alla ricerca di commesse pubbliche che potessero venire in soccorso ai loro bilanci traballanti. Ciò che invece appare sempre più necessario al paese è invece una progettazione unitaria che alimenti e guidi una convincente e efficiente esecuzione distribuita.
Non serve inoltre che le amministrazioni si lancino in “grandi progetti” che troppo spesso si risolvono nel finanziare le idee proposte dalle imprese Ict, indipendentemente dalla loro reale efficacia e rilevanza per l’utenza finale. È necessario passare dai grandi progetti al procurement strategico: non è il mondo dell’offerta che deve proporre progetti, quanto quello della domanda che deve richiedere soluzioni per i propri problemi, siano essi, per esempio, nel campo dei trasporti o della sanità o della sicurezza. Abbiamo bisogno di una committenza forte che abbia come obiettivo primario quello di risolvere problemi e non solo di comprare prodotti o servizi. Ciò richiede progettualità, modelli di finanziamento innovativi, valutazione complessiva dei costi di gestione e aggiornamento della soluzione a regime, e non solo dell’investimento iniziale.
L’OFFERTA
Per quanto concerne l’offerta, cioè il mondo delle imprese che offrono servizi e prodotti Ict, il mercato italiano è caratterizzato da diversi problemi, tra i quali tre appaiono particolarmente critici: un alto numero di imprese, nella stragrande maggioranza dei casi di dimensioni minime; una loro scarsa apertura internazionale; livelli salariali mediamente inferiori a quelli degli altri paesi europei. In questo contesto, la crescita qualitativa della domanda avrebbe già un benefico effetto di traino. È peraltro indubbio che l’intervento pubblico può accelerare significativamente la maturazione complessiva del mondo dell’offerta. In particolare, sono auspicabili misure veloci, certe, affidabili nei tempi e nella loro entità. Non è pensabile riproporre strumenti lenti, incerti, obsoleti. Ne proponiamo quattro:
1. Uno strumento efficace di promozione della ricerca e dell’innovazione nelle imprese è il credito automatico di imposta. È uno strumento che garantisce certezza dei tempi e delle risorse, finanzia le imprese che investono in ricerca, promuove una collaborazione tra imprese e centri di ricerca o università, centrata sulla domanda di innovazione e che quindi premia le istituzioni di eccellenza. Se è vero che il bilancio dello Stato non può essere appesantito da ulteriori uscite, non vi è dubbio che si potrebbe introdurre il credito per la ricerca eliminando altre forme di sovvenzione e intervento disperso, che spesso sono finiscono per essere solo uno sterile finanziamento a pioggia.
2. Le imprese devono crescere dimensionalmente. Servono strumenti che premino le operazioni difusione e acquisizione, tipicamente agendo sulla leva fiscale e ricercando il sostegno del private equity.
3. È necessario promuovere la ricerca di imprese e università, predisponendo fondi e programmi che abbiano un ragionevole respiro temporale. A volte si vedono programmi schizofrenici che vogliono fare ricerca, ma richiedono al tempo stesso applicazione nel breve periodo dei risultati così ottenuti. La ricerca, quella vera, ha tempi difficilmente prevedibili. Spesso sembra non produca risultati visibili: in realtà, quanto meno produce una crescita delle competenze e del capitale umano.
4. È necessario dare un vero slancio, coraggioso e lungimirante alle iniziative di venture capital per lo sviluppo di imprese innovative nel settore dell’Ict.
Un paese avanzato non può accontentarsi di riusare la conoscenza, i prodotti, le tecnologie sviluppate all’estero. Deve avere la capacità di valorizzare e sviluppare il proprio capitale umano, le proprie competenze, le realtà di valore presenti sul territorio. Non è soltanto una azione necessaria per garantire un vero sviluppo e non solo un timido scimmiottamento di quanto avviene all’estero. È anche una elemento di vera meritocrazia e rispetto dei cittadini e delle istituzioni, e di seria responsabilità nei confronti del paese e delle sue prospettive di sviluppo
* tratto da Lavoce.info