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Published on Novembre 18th, 2004 | by Redazione MG News

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Più R&S! Più R&S! Sì, ma in quali settori?

Mentre altrove si discute della costituzione di un Consiglio Europeo delle Ricerche, verso cui sembrano puntare Francia, Germania e Regno Unito, in Italia ci si interroga sull’arretratezza tecnologica del paese,[…] Mentre altrove si discute della costituzione di un Consiglio Europeo delle Ricerche, verso cui sembrano puntare Francia, Germania e Regno Unito, in Italia ci si interroga sull’arretratezza tecnologica del paese, cercando di individuarne cause, conseguenze e rimedi.
L’opinione prevalente – ribadita dal presidente di Confindustria Montezemolo nel suo discorso di insediamento – é che da noi si spenda troppo poco in Ricerca & Sviluppo (R&S), cioé in quell’attività che, secondo la definizione OCSE, le imprese svolgono in modo sistematico e strutturato in dipartimenti e laboratori situati al loro interno e nei quali lavorano a tempo pieno addetti molto qualificati.

Le principali fonti di innovazione

La R&S é però soltanto una tra le molteplici fonti di innovazione tecnologica a disposizione delle imprese ed é prerogativa di quei settori ad alto livello tecnologico nei quali l’Italia é poco competitiva. Esistono, infatti, altre fonti di innovazione, che l’Ocse definisce indirette, dalle quali le imprese possono trarre beneficio: la progettazione, il marketing, il progresso tecnico incorporato nei nuovi macchinari e impianti e il progresso tecnico scorporato, acquisito attraverso le licenze sui brevetti di altri soggetti. Il progresso tecnico incorporato, in particolare, é la principale fonte di innovazione per le imprese dei settori tradizionali.
Va quindi sgombrato il terreno da un equivoco: nei settori tradizionali a basso livello tecnologico non si fa R&S in senso proprio e l’innovazione é tipicamente incrementale. A livello aggregato, questo significa che quanto maggiore é il contributo al Pil che un paese ottiene da tali settori, tanto minore sarà la sua capacità di spesa in R&S. Un buon lavoro di progettazione, un’accurata attività di marketing e l’impiego del macchinario tecnologicamente più avanzato sono quanto di meglio le imprese che operano nei settori tradizionali possano fare per mantenersi competitive attraverso l’innovazione. E’ evidente che, qualora ciò fosse insufficiente per fronteggiare la concorrenza di altri paesi, non rimarrebbe molto altro da fare che delocalizzare all’estero.
Nei settori avanzati le cose cambiano. Come dimostra l’esperienza degli ultimi due decenni, a sopravvivere ed aumentare la propria quota di mercato sono soprattutto le imprese con un’elevata intensità di R&S (spesa per R&S su valore aggiunto). Basti ricordare al riguardo che nell’industria mondiale dei computer, a fronte di una media dell’intensità di spesa in R&S superiore al 10 per cento, negli anni culminanti della sua crisi l’Olivetti stentava a raggiungere il 5 per cento.

Quote di valore aggiunto e intensità di R&S

Confrontiamo, per settori manifatturieri raggruppati in base al loro livello tecnologico, l’intensità di R&S ed il contributo al PIL delle imprese dei quattro principali paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia e Regno Unito), del Giappone e degli Stati Uniti.
L’Italia é il paese che ottiene la più elevata quota di valore aggiunto dai settori di livello tecnologico basso e medio-basso, i quali sono dovunque caratterizzati dalla più bassa intensità di R&S, con valori prossimi allo zero. I settori di livello tecnologico alto apportano invece un contributo al PIL sostanzialmente inferiore rispetto a Stati Uniti, Germania e Giappone, ma non dissimile da quello di Francia e Regno Unito.
I dati indicano poi un divario enorme tra l’intensità di R&S delle nostre imprese manifatturiere (nel loro complesso) e, soprattutto, quelle di Giappone, Francia e Germania. Il fatto più preoccupante é che anche nella categoria ad alto livello tecnologico l’intensità di R&S delle nostre imprese (0,12) risulta di gran lunga inferiore a quella delle imprese degli altri cinque paesi (tra i quali spicca la Francia con 0,24). E la situazione non migliora nella categoria tecnologica medio-alta, che pure offre un contributo importante al PIL italiano
In definitiva, é vero che nel nostro paese i settori manifatturieri sono caratterizzati da una bassa intensità di R&S; questo dipende solo in parte dal peso rilevante delle produzioni di basso livello tecnologico ma, soprattutto, dalla modestissima capacità di fare R&S delle imprese dei settori di maggiore livello tecnologico. Ed é in questo ambito che qualcosa dovrà cambiare per colmare il gap che ci separa dai paesi più avanzati, visto che non si può certo pensare di trasformare in imprese ad alta intensità di R&S quelle che operano nei settori tradizionali.
Per fare dell’Italia un paese ad alta intensità di R&S occorre dunque spronare le imprese dei settori high-tech ad investire molto di più. Alleanze strategiche, joint ventures e partecipazione a progetti congiunti con imprese di altri paesi europei potrebbero certamente agevolare questo cambiamento di strategia. Alcune recenti scelte del governo italiano, ad esempio in tema di satelliti per la banda larga, sembrano però evidenziare un orientamento opposto: privilegiando soluzioni autarchiche, si rischia di allontanare ulteriormente il paese dall’Europa che conta.

* L’autore: Enrico Santarelli, tratto da LaVoce.info


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