Marketing e comunicazione no image

Published on Luglio 22nd, 2007 | by Redazione MG News

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Il marketing esperienziale

La rinnovata attenzione per la sfera del sensibile, che caratterizza la nostra società, non può che influenzare le strategie di marketing e comunicazione […]

Questo riguarda soprattutto quelle seguite dalle aziende legate a prodotti che hanno grande affinità con la dimensione corporea e sensoriale (ad esempio, i prodotti cosmetici e gastronomici).
Teorizzato da B. H. Schmitt (1999), il “marketing esperienziale” è così chiamato in quanto basato sull’esperienza del consumo (ad esempio, lavarsi i capelli con un certo shampoo) piuttosto che sul prodotto in sé (il prodotto “shampoo”); in questa prospettiva, la strategia di marketing deve individuare quale tipo di esperienza può valorizzare al meglio il prodotto, per poi proporla al pubblico, ricostruendola ad hoc. Secondo Schmitt esistono cinque diversi tipi di esperienza (da lui detti “SEMs”, o “Strategic Experiential Modules”), che possono anche essere combinate tra loro a formare esperienze di tipo olistico:

1. SENSE experiences, ovvero esperienze che coinvolgono la percezione sensoriale;
2. FEEL experiences, ovvero esperienze che coinvolgono i sentimenti e le emozioni;
3. THINK experiences, ovvero esperienze creative e cognitive;
4. ACT experiences, ovvero esperienze che coinvolgono la fisicità;
5. RELATE experiences, ovvero esperienze risultanti dal porsi in relazione con un gruppo.

L’azienda può ricostruire per i consumatori queste esperienze attraverso il mix di comunicazione, cioè attraverso tutti gli strumenti che parlano della marca, inclusi siti internet, punti vendita  e personale (Schmitt parla di “ExPros”, o “Experience Providers”). Strettamente collegata al marketing esperienziale, esiste poi un’altra forma di marketing, detta “polisensoriale” in quanto propone tecniche di comunicazione e vendita fondate sulla sollecitazione strategica dei cinque sensi del consumatore.

La comunicazione polisensoriale estende i propri contenuti e le proprie capacità espressive oltre il visivo e l’auditivo, ottenendo così due vantaggi: quello di dotare il prodotto di un’identità forte, “a tutto tondo”, e quello di coinvolgere maggiormente il consumatore, stimolandolo sia sul piano cognitivo che su quello sensoriale. La polisensorialità può essere ricreata avvalendosi innanzitutto di linguaggi di tipo sinestetico . A questo proposito, G. Ceriani (1994) osserva come al giorno d’oggi il sincretico  si apra sempre più al sinestesico: mediante l’utilizzo di sinestesie (ovvero mediante l’enfatizzazione delle contaminazioni e delle corrispondenze sul piano del sensibile) la pubblicità riesce infatti a creare una relazione più prossima col ricevente e ad attivare il suo consenso, sia abbassando la soglia cognitiva responsabile del giudizio  in favore di quella affettiva/sensoriale, sia moltiplicando i percorsi cognitivi, relativi ai sensi chiamati in causa. In un certo senso, si potrebbe parlare di una pratica al limite del subliminale, “poiché con l’evocazione delle sensazioni si sollecitano direttamente i desideri psico-fisici dell’individuo (la fame, il desiderio di freddo o di caldo, la sete, la voglia di contatti piacevoli ed eventualmente seducenti come quelli attesi, ad esempio, da una stoffa di seta) e si convoca una manipolazione potente ancorché indiretta” – G. Ceriani.

La comunicazione polisensoriale può anche operare basandosi su stimolazioni sensoriali più “concrete”, ad esempio con l’immissione di determinati profumi o musiche nel punto vendita. Gli odori sono infatti dei potenti mezzi di comunicazione, grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria. La loro elaborazione pertiene alla parte emozionale del cervello (la parte destra), ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alle situazioni in cui sono stati percepiti per la prima volta. Per tale motivo, l’utilizzo degli odori a fini commerciali è un trend che si va sempre più affermando: dagli agenti immobiliari che profumo di caffè, o di torta appena sfornata, le case da mostrare ai potenziali acquirenti (perché questi odori attivano emozioni positive, legate a concetti come “infanzia” e “mamma”) ai grandi magazzini che diffondono profumi di campo per indurre il rallentamento dell’andatura dei clienti, che quindi possono dedicare più tempo agli acquisti, si tratta sempre di sfruttamento non ingenuo del potere evocativo degli odori. Anche la musica è fortemente interrelata alle emozioni e la sua utilità a fini commerciali è ben nota da tempo. Un fenomeno cui si assiste sempre più di frequente è l’utilizzo in pubblicità di canzoni già famose: il passaggio dall’ambito culturale a quello promozionale comporta infatti due notevoli vantaggi, ossia lo “sfruttamento” di emozioni, perlopiù positive, già esistenti (legate alle situazioni in cui la canzone è stata udita precedentemente) e un surplus di popolarità per il prodotto pubblicizzato.

Gloria Pericoli


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