Marketing e comunicazione no image

Published on Aprile 26th, 2005 | by Redazione MG News

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Product Placement: comunicazione di prodotto di frontiera

Una forma di comunicazione nata…con il cinema che sta vivendo adesso una stagione di rinascita. Nauseati dagli spot, gli utenti dei media cercano sempre più situazioni in cui possano “godere” del prodotto inserito in un’esperienza coinvolgente e positiva, contestualizzato, per dirla con un termine che fa “fino”. Chi di noi non ricorda con divertimento il film con l’attrice americana Julia Roberts ‘Se scappi ti sposo’ o il film con l’attore Tom Hanks ‘Cast Away’ in cui veniva fatta esplicita pubblicità al marchio di una famosa compagnia di trasporti, la ‘Fed Ex’? O ancora, nel film ‘Matrix’, le immagini in cui gli attori utilizzano cellulari di ultima generazione ed occhiali presenti nei punti vendita? Tutto questo è il Product Placement. Le connessioni con il cinema sono storiche, tanto che leggendo la storia del cinematografo appare in maniera molto chiara il legame tra cinema e pubblicità di prodotto; una pubblicità che però non è quella a cui siamo abituati a pensare solitamente, ma che diventa molto più penetrante e, se vogliamo, sottile, perché fa parte integrante del film, della fiction o della produzione televisiva. Oggi il Product Placement sta conoscendo una sua rinnovata vitalità, tanto che molte produzioni televisive, America compresa, stanno budgetizzando parte degli introiti dei film proprio da questa fonte. Ma non solo il cinema, anche i nuovi media digitali da tempo ci hanno abituati ad una forma di pubblicità nuova, in cui il prodotto entra nell’oggetto della discussione, o meglio, diventa il corollario tematico attorno al quale si costruiscono palinsesti, format e canali tematici. Un po’ di storia, per capire meglio a quando risale questa pratica. Era l’11 luglio 1895, quando a Parigi, nelle sale della “Revue générale des sciences” avviene la prima proiezione “pubblica” di una nuova invenzione chiamata cinematografo. In programma ci sono ben 8 film: La sortie des usines Lumière, La place des Cordeliers à Lyon, La leçon de voltige, Les forgerons, La pêche aux poissons rouge, Pompiers: attaque du feu, Le jardinier et le petit espiègle, Le repas de bébé. Il pubblico rimane entusiasta, le cronache dell’epoca tramandano di interminabili battiti di mani e piedi, dei fratelli Lumière portati in trionfo e di scene di stupore come quella famosissima del panico tra il pubblico durante la proiezione del film L’arrivée d’un train en la gare de la Ciotat. Allora i fratelli Lumière furono i primi a portare l’invenzione del cinematografo al grande pubblico, ma non erano gli unici. La competizione era tale che altri produttori erano pronti ad arrivare sul mercato con un prodotto come il loro. Per evitare questo, i fratelli furono costretti ad inventare, nel 1895, un modello pubblicitario in cui il loro prodotto, il cinematografo, fosse il protagonista. E così fu. Dopo alcuni esperimenti, i Lumière, riescono a girare il primo film il 19 marzo 1895, che ovviamente, visto lo scopo dell’iniziativa non poteva essere che l’uscita degli operai (festanti per l’ora del pranzo) dalla fabbrica Lumière. Paradossalmente cinema e product placement sono nati lo stesso giorno. Esiste poi un aneddoto strano riguardo questa pellicola. Le fonti dell’epoca riportano un’anomala versione visionata durante la prima vera proiezione (quella fra il 10 e 12 giugno 1895 al congresso delle società di fotografia di Lione). Il Bulletin de la société française de photographie (n. 16, 1895) scrive: “…gli episodi sono stati: Primo. Uscita degli operai dalla fabbrica Lumière a Monplaisir. Donne, bambini, uomini escono festanti per andare al pranzo: alcuni a piedi, altri in bicicletta. Alla fine escono anche i padroni in carrozza. La vita colta sul fatto. Il film ha avuto l’onore del bis…” Comunque siano andate le cose, con le due versioni, una per i concorrenti e l’altra per i clienti, i Lumière dimostrarono di saperci fare quasi di più come pubblicitari che come cineasti. Per loro infatti il cinema è stato sempre e solo un business. Un’attività secondaria, portata avanti esclusivamente per dare fama al resto. Dopo questo primo ed importante episodio, destinato a fare storia, il cinema si è evoluto e con esso il product placement. Per tutto il periodo del muto, fino agli anni trenta le marche fanno lo loro comparsa come scatola, neon o cartello, ma lo studio di questo periodo è estremamente arduo, visto la quasi totale assenza di informazioni e la molteplicità dei marchi mostrati. Un conto è vedere un taxi della Yellow Cab impegnato in un inseguimento o la scatola del sapone Lux durante una scivolata di Olio, un altro è vedere i cartelli della Van Nuys Building che accompagnano la scalata di Harold Lloyd in Preferisco l’ascensore (Safety last, Fred Newmeyer & Sam Taylor, Usa, 1923). Il fenomeno non riguarda solo i film d’oltreoceano, ma anche molti film europei. Fra questi uno degli esempi più palesi è quello contenuto nel film tedesco Stürme der leidenshaft (Robert Siodmak, D, 1931). La prima scena del film si svolge nelle immense cucine di una prigione dove sono posizionati numerosi scatoloni di dado Maggi. Lo chef assaggia il brodo di una delle grossissime pentole, dopodiché, facendo una faccia schifata, rimprovera l’addetto spiegando che per avere un buon brodo si devono usare i dadi. Ne prende tre da un piatto ricolmo e li butta nell’acqua bollente, sbriciolando l’ultimo. Oggi il product placement trova una sua nuova e rinnovata vitalità grazie a tutta una serie di fattori, non solo economici, ma anche sociali. La diffusione dei nuovi media digitali in primis e la voglia di un modello pubblicitario diverso, sono fattori di primaria importanza in grado di portare alla ribalta questo modo di parlare del prodotto. Internet già da qualche tempo di ha abituati a pensare ai contenuti commerciali in ‘cornici’ tematiche in cui l’oggetto della discussione riguarda l’uso del prodotto; l’esempio del vino, in cui cultori enogastronomici si scambiano opinioni circa gli abbinamenti e le ricette è forse quello più eclatante ed interessante, anche se non è l’unico. Meglio di Internet, la televisione digitale tematica (satellitare e via cavo) è un meraviglioso esempio di come il prodotto venga ascritto in una cornice in cui il prodotto è solo un mediatore, tra i consumatori, ed un gruppo di esperti colti in grado di raccontare delle storie sul prodotto, sulla sua produzione e sulla cultura che sottostà al suo consumo. Sul versante delle forme pubblicitarie, da diverso tempo ‘l’interruption marketing’ sta conoscendo una crisi, dovuta al fatto che attirare l’attenzione dei consumatori, con uno spot o con una affissione, risulta sempre più difficile, perché presuppone disponibilità all’ascolto e tempo, risorse queste sempre più preziose. Il nuovo modello, adottato anche da molti network americani, è quello di non ‘interrompere’ la visione del film o della fiction e di ‘incorporare’ la comunicazione di prodotto nella produzione televisiva stessa. Parafrasando quanto dicono gli americani, è una nuova forma di comunicazione, in cui ‘l’arte imita se stessa, mentre questa cerca di interpretare la vita reale’ (cit. ‘art imitating art imitating life’). Da queste brevi ed interessanti argomentazioni crediamo che sia arrivato il momento per un fiorire di iniziative di comunicazione che si rifanno a questo modello; dal classico inserimento di prodotto nel set cinematografico (con tutti i valori di voglia di emulazione che ciò comporta), ai tentativi editoriali di costruire interesse attorno al prodotto, parlando di lui in maniera diretta, ma anche indiretta, spiegandone usi, funzioni, storia, cultura e tradizione (ed in questo senso, pensiamo che le nuove sfide del marketing territoriale possano trovare ampia soddisfazione dall’adozione di questo modello comunicativo).


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